How a song is born: The Great Gig in the Sky (ENG)

The song is part of the legendary album “The dark side of the moon” by Pink Floyd and is the natural continuation of the one that precedes it in the album, “Time”: the protagonist of the text realizes that he has wasted too much time in his life and inevitably he is afraid of dying, as it often happens, without having the time to carry out all the projects he has in mind. Born as an instrumental piece by Richard Wright, however, when the album was almost complete, on 21 January 1973, Alan Parson, authoritative sound engineer, believing that the piece was missing something, proposed to call a singer and, despite the opposition of the author, it was decided to try: Madeleine Bell and Doris Troy were called but were not available; so, an EMI singer, Clare Torry, a 25-year-old girl who had already worked with Parson, was contacted.

The singer then showed up the following Sunday at Abbey Road Studios, where she was initially made to listen to the already recorded track and then David Gilmour told her: «There are no words. It’s about death. Don’t sing anything prepared. Improvise, your voice must be a musical instrument. It has to sound like a guitar solo».

More recordings were made to find a suitable one. On the first recording, Torry said, she sang “Ooh-aah, baby, baby – yeah, yeah, yeah”. It was discarded. In the second one Torry tried to imitate an instrument (this is the one that will later appear on the album). She also tried a third, in which she stopped immediately because she claimed to have noticed that she was repeating the previous recording and in addition the latter seemed “forced”.

When she left the recording room, the singer apologized, embarrassed, for the performance, while the group and all present were amazed by that improvisation.

Unknowingly, in fact, she had been the protagonist of one of those miracles that sometimes happen in music: improvising in total freedom, she had completely exposed herself, it was as if she had opened up her emotionality in front of the others, and she had felt if she was ashamed of what she had done, while her performance had turned out to be something sensational and what came out of it was a real masterpiece… It was deemed suitable and afterwards overdubbed on the instrumental base: the song thus composed, which initially should have been entitled “The Mortality Sequence” or “The Religious Section”, was included in the album with the title “The Great Gig in the Sky” where “gig” means concert.

The singer, who had left the studio convinced that her voice would not be used on the album, had to change her mind with astonishment and satisfaction when, after some time, she saw the record in a shop and read her name among the acknowledgments.

But in a certain sense Clare Torry was also the author of this piece, her performance having contributed in a decisive way to the character of the piece, and therefore to its success, although she was only paid as a session musician (30 pounds). Later on, given the success of the piece, however, she began to realize the importance of her contribution, thinking “but in the end I too am the author of this piece”. She therefore decided, in 2004, to take legal action so that the just merit of this creation was recognized. In 2005 the Supreme Court of the United Kingdom found her right, and all editions after that year contain Torry’s name in the credits, both as singer and as co-writer of the song, therefore credited as a Torry / Wright composition.

Patrizia Rossi

Come nasce una canzone: The Great Gig in the Sky

The Great Gig in the Sky

Il brano fa parte del mitico album “The dark side of the moon” dei Pink Floyd ed è la naturale prosecuzione di quello che lo precede nell’album, Time: il protagonista del testo si rende conto di aver sprecato troppo tempo nella propria vita e inevitabilmente resta spaventato all’idea di morire, senza avere il tempo di realizzare tutti i progetti che ha in mente. Nato come brano strumentale di Richard Wright, tuttavia, quando l’album era ormai quasi completo, Il 21 gennaio 1973, Alan Parson, autorevole tecnico del suono, ritenendo che al brano mancasse qualcosa, propose di chiamare una cantante e, nonostante la contrarietà del suo autore, venne deciso di provare: vennero chiamate Madeleine Bell e Doris Troy che però non erano disponibili; venne allora contattata una corista della EMI, Clare Torry, una ragazza di 25 anni che aveva già lavorato con Parson.

La cantante si presentò quindi la domenica successiva presso gli Abbey Road Studios dove inizialmente le venne fatta ascoltare la traccia già registrata e poi David Gilmour le disse: «Non ci sono parole. Riguarda la morte. Non cantare nulla di preparato. Improvvisa, la tua voce deve essere uno strumento musicale. Deve suonare come un assolo di chitarra».

Furono fatte più registrazioni per trovarne una adatta. Nella prima registrazione Torry disse che cantò “Ooh-aah, baby, baby – yeah, yeah, yeah”. Venne scartata. Nella seconda quindi Torry provò ad imitare uno strumento (è questa quella che poi apparirà nell’album). Ne provò anche una terza, in cui si fermò subito perché affermò di essersi accorta che stava ripetendo la registrazione precedente e in più quest’ultima sembrava “sforzata”. Quando uscì dalla sala di registrazione, la cantante si scusò, imbarazzata, per la performance, mentre il gruppo e tutti i presenti rimasero stupefatti per quell’improvvisazione. Inconsapevolmente, infatti, era stata protagonista di uno di quei miracoli, che ogni tanto nella musica accadono: improvvisando in totale libertà, si era messa completamente a nudo, era come se avesse aperto la propria emotività di fronte agli altri, e si era sentita come se si vergognasse di quello che aveva fatto, mentre la sua esibizione era risultata qualcosa di sensazionale e quello che ne era uscito era un capolavoro… Infatti venne ritenuto adatto e sovra inciso alla base strumentale, e il brano così composto, che inizialmente avrebbe dovuto intitolarsi The Mortality Sequence o The Religious Section, venne inserito nell’album col titolo The Great Gig in the Sky dove “gig” significa concerto.

La cantante, che aveva lasciato lo studio convinta che non avrebbero usato la sua voce nell’album, dovette ricredersi con stupore e soddisfazione quando, a distanza di qualche tempo, vide il disco in un negozio e lesse il suo nome tra i riconoscimenti.

Ma in un certo senso Clare Torry era anche l’autrice di questo pezzo, il suo apporto aveva contribuito in modo determinante al carattere del brano, e quindi al suo successo, sebbene fosse stata pagata solo come una turnista (30 sterline). Qualche tempo dopo, visto il successo del brano, cominciò infatti a realizzare l’importanza del suo contributo, pensando “ma in fondo sono un po’ anch’io autrice di questo pezzo”. Decise quindi, nel 2004, di adire le vie legali perché le venisse riconosciuto il giusto merito di questa creazione. Nel 2005 la Corte suprema del Regno Unito le diede ragione, e così tutte le edizioni successive a quell’anno contengono il nome di Torry nei riconoscimenti, sia come cantante che come coautrice del brano,  accreditato quindi come composizione di Torry/Wright.

Patrizia Rossi

Cose che non tutti sanno sui canti di Natale…

Silent night

E’ una delle più note canzoni natalizie, dal titolo originale Stille Nacht, Heiligen Nacht, “quieta notte, santa notte”: le parole furono scritte nel 1816 dal prete salisburghese Joseph Mohr che le tenne nel cassetto in attesa di trovare qualcuno che potesse metterle in musica. Due anni dopo trovò Franz Gruber, allora maestro elementare e organista a Oberndorf: fu lui a comporre la musica, che suonò nella vigilia di Natale del 1818. Da allora fu tradotta in numerose lingue e riproposta in molte diverse versioni: Voci per Aria esegue la versione inglese nell’arrangiamento polifonico dei Swingle Singers, molto suggestivo ed originale.

White Christmas

La canzone fu scritta da Irving Berlin, il testo è ispirato ai giorni di Natale in cui si verificano spesso nevicate. La mattina dopo aver scritto la canzone, Berlin corse al suo ufficio e disse alla sua segretaria: “Prendi la penna, prendi appunti su questa canzone. Ho appena scritto la mia migliore canzone; diavolo, ho appena scritto la migliore canzone che chiunque abbia mai scritto!”. Infatti, con 50 milioni di copie, è il singolo discografico più venduto della storia!

L’incisione più famosa di White Christmas è quella cantata nel 1942 da Bing Crosby: arrivata in 1ª posizione nella classifica Billboard dei singoli per 11 settimane e premiata con l’Oscar alla migliore canzone nel 1943 ed il Grammy Hall of Fame Award nel 1974. Della canzone sono state eseguite innumerevoli versioni, di cui molte in lingua italiana con il titolo Bianco Natale. Il testo della versione italiana fu scritto da Filibello.

Carol of the bells

Conosciuta anche come Ukrainian Bell Carol, è una celebre canzone natalizia scritta nel 1936 dal compositore statunitense Peter Wilhousky, la quale è basata su un rifacimento melodico di un canto natalizio del compositore ucraino di fine ottocento Mykola Leontovyč,  intitolato Ščedryk (ščedrykvka in lingua ucraina significa “Canto di Capodanno”). Si tratta di un brano che in Ucraina è tradizionalmente intonato la sera del 13 gennaio, vigilia del Capodanno secondo il Calendario giuliano.

Il movimento di Ščedryk è un allegretto eseguito di solito da un coro a cappella a quattro voci. La principale caratteristica è il canto “ostinato” di un disegno ripetitivo di quattro note che attraversa l’intero brano.

Il testo di Wilhousky, che si compone di sette strofe, parla della gioia nell’aspettare il momento tanto atteso e nell’ascoltare il suono delle campane il giorno di Natale. Il testo originale ucraino non parla del periodo natalizio, ma fa riferimento al vecchio Capodanno, che si svolgeva in primavera, e parla di una rondine che va a far visita ad una famiglia contadina, augurando un anno prospero.

Jingle bells

E’ una delle canzoni natalizie più conosciute e cantate al mondo; è stata scritta da James Lord Pierpont e pubblicata nell’autunno 1857 con il titolo One Horse Open Sleigh. Anche se è associata al Natale, in origine la canzone era stata scritta per essere cantata durante il giorno del ringraziamento. Nel corso degli anni, Jingle Bells è stata cantata e registrata da numerosi artisti tra cui Louis Armstrong, i Beatles, Frank Sinatra, Luciano Pavarotti e altri cantanti con numerose versioni della canzone.

Tu scendi dalle stelle

Nota anche come Canzoncina a Gesù Bambino o più semplicemente A Gesù Bambino, è un canto di Natale composto nel dicembre 1754 dal vescovo e santo campano Alfonso Maria de’ Liguori, derivato come versione in italiano dall’originale in lingua napoletana Quanno nascette Ninno.

Il motivo, scritto in 6/8, è uno tra i più famosi canti natalizi italiani, e richiama vagamente il suono delle zampogne. Il testo presenta numerose varianti a seconda delle edizioni, frutto in parte di interventi successivi dello stesso autore, ma altre da attribuire senz’altro alla tradizione popolare che presto si impadronì del brano.

Oh happy day

E’ una canzone gospel, sviluppata a partire da un inno del XVIII secolo.

Il testo celebra il “giorno felice” (oh happy day) in cui Gesù “lavò i miei peccati (washed my sins away) e insegnò a “guardare, lottare e pregare” ed a essere felici ogni giorno. In Italia è erroneamente considerato un canto natalizio a causa della pubblicità di una nota marca di vini spumanti proposta dal 1983. In realtà si tratta di un inno pasquale di resurrezione, ma ora ce ne serviamo ugualmente per augurare a tutti Buon Natale!

Knockin’ on heaven’s door

Tratta dalla colonna sonora del film Pat Garrett e Billy Kid, Knockin’ on Heaven’s Door  è divenuta successivamente una delle canzoni più famose di Bob Dylan, pubblicata nel 1973 come singolo dalla Columbia Records.

Il film si ispira a una storia vera. Verso il 1880, nel Nuovo Messico, il latifondista John Chisum ha condotto una guerra spietata contro i suoi rivali servendosi di vari pistoleri fra cui Pat Garrett e Henry McCarty, che si faceva chiamare William H. Bonney, detto Billy the Kid. All’inizio del film, però, Chisum si è accordato col governo federale e ha cessato le ostilità; Billy, ingenuo, non ha capito e continua a uccidere mentre Garrett, più anziano e realista, diventa sceriffo. Per una terribile  ironia della sorte, Pat riceve l’incarico di uccidere Billy, che un tempo era suo amico. Incomincia così un inseguimento massacrante in cui solo uno dei due potrà sopravvivere.

Il regista Sam Peckinpah assegnò a James Coburn il ruolo di Pat Garret, mentre per quello di Billy the Kid optò per il famoso cantante country Kris Kristofferson. Oltre a recitare la parte del giovane fuorilegge, Kristofferson avrebbe coinvolto nella pellicola il cantante Bob Dylan, inizialmente per scrivere la colonna sonora del film; Bob ebbe poi anche una piccola parte: un ruolo che gli sta a pennello, quello di uno stralunato e anticonformista menestrello del west. All’epoca Peckinpah non conosceva Dylan, ma quando lo sentì cantare ne rimase profondamente colpito…

Nel film la canzone fa da sottofondo perfetto e toccante alla scena in cui  Slim Pickens (lo sceriffo anziano), colpito allo stomaco, sta sulla riva del fiume e guarda un tramonto di nuvole rosse, aspettando di morire, assistito dalla moglie, una donna grande e rude che mostra il suo dolore solo con le lacrime che le rigano il volto.

Mama, take this badge off of me
I can’t use it anymore
It’s gettin’ dark, too dark to see
I feel like I’m knockin’ on heaven’s door

Mamma, toglimi questo distintivo,

non mi serve più.

Sta diventando buio, troppo buio per vedere.

Mi sembra che sto bussando alla porta del paradiso.

Badge, distintivo, la stella da sceriffo, è il simbolo della legge e la parola chiave che collega il testo della canzone anche alla scena finale dell’uccisione di Billy.

Il brano è stato oggetto di moltissime cover (Eric Clapton, Marc Knopfler, Bruce Springsteen per citare solo alcuni) ma la versione più famosa è certo quella dei Guns N’ Roses. Nonostante siano un gruppo hard rock, e la canzone sia una ballata dolce e malinconica, ne è uscito un brano molto particolare.

Patrizia Rossi

Ascoltare musica può essere doping?

Abbiamo più volte parlato dei benefici che il canto e la musica sono in grado di portare nella nostra vita. Gli studi scientifici si moltiplicano ormai da anni e sono tutti concordi nel concludere che “canta che ti passa” non è solo un detto popolare, ma ha un suo profondo fondamento di verità, anche se in prima battuta può sembrare strano. La maggiore produzione di endorfine in seguito all’ascolto della musica è ormai un dato di fatto. Ed è talmente vero che la musica e il canto portano enormi benefici al nostro corpo e alla nostra esistenza, che in alcune situazioni la musica è stata addirittura vietata perché considerata “doping”, in quanto genera una maggiore resistenza alla fatica da parte del nostro corpo, producendo un effetto stimolante che riduce la fatica e migliora le prestazioni sportive. Se volete approfondire, andate a leggere questo articolo

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Ear training – intervalli di 6a

Gli intervalli di 6a possono essere maggiori (Do-La) o minori (Do-Lab).

Un modo molto semplice per riconoscerli e ricordarli è associarli ad una melodia nota. Molte sono le melodie che iniziano con questo intervallo. Io ve ne propongo 2:

6a minore – Vecchio frac (Do-Lab) nella versione di Domenico Modugno

6a maggiore – My way (La-Fa#) nella versione di Frank Sinatra

Un’altra breve considerazione è che ciascuna di queste coppie di note costituiscono rispettivamente la 5a giusta e la 3a minore della tonalità di Fa minore (Vecchio Frac) e 5a giusta e 3a maggiore della tonalità di Re maggiore.

A me piace cantare “dando i numeri” … ;-))

I Wish I Knew How It Would Feel to Be Free

“I Wish I Knew How It Would Feel to Be Free” (Vorrei sapere come ci si sente ad essere liberi) è una canzone jazz scritta da Billy Taylor. La versione originale di Taylor (conosciuta come “I Wish I Knew”) è stata registrata il 12 novembre 1963 e pubblicata nel suo album “Right Here, Right Now!” l’anno successivo. Il testo celebra il desiderio di libertà e di uguaglianza. Taylor ha detto: “Ho scritto questa canzone, forse la mia composizione più nota, per mia figlia Kim. Questa è una delle mie migliori interpretazioni perché è molto spiritual“.

Vi propongo qui una versione registrata da Taylor nell’album “Music keeps us young” quando aveva la veneranda età di 75 anni!

Una versione molto conosciuta è quella registrata da Nina Simone nel 1967 nel suo album “Silk & Soul”. Successivamente, la canzone è diventata l’inno del movimento per i diritti civili in America negli anni ’60. Anche la Lighthouse Family ne ha fatto una cover nel 2001.

Eunice Kathleen Waymon (21 febbraio 1933-21 aprile 2003), conosciuta professionalmente come Nina Simone, è stata una cantante, compositrice, pianista e attivista per i diritti civili americana. La sua musica abbraccia vari stili tra cui classica, folk, gospel, blues, jazz, R&B e pop.

Sesta di otto figli nati da una famiglia povera a Tryon, nella Carolina del Nord, Nina inizialmente aspirava a diventare pianista da concerto. Con l’aiuto di alcuni sostenitori della sua città natale, si iscrive alla Juilliard School of Music di New York City. Ha quindi concorso per una borsa di studio al Curtis Institute of Music di Filadelfia, dove tuttavia, nonostante un’audizione ben accolta, le è stata negata l’ammissione, cosa che lei ha attribuito al razzismo. Nel 2003, pochi giorni prima della sua morte, l’Istituto le ha conferito la laurea honoris causa (un po’ tardi…).

Per guadagnarsi da vivere, Nina ha iniziato a suonare il piano in un locale di Atlantic City. Ha cambiato il suo nome in “Nina Simone” per nascondersi ai familiari, avendo scelto di suonare “la musica del diavolo” o il cosiddetto “pianoforte da cocktail”. Qui le è stato detto che avrebbe dovuto cantare con il proprio accompagnamento, il che ha effettivamente lanciato la sua carriera di cantante jazz. Ha registrato di seguito più di 40 album tra il 1958 e il 1974, debuttando con “Little Girl Blue”. Ha pubblicato un singolo di grande successo negli Stati Uniti nel 1958 dal titolo “I Loves You, Porgy”. Nel suo stile musicale fondeva gospel e pop con la musica classica, in particolare Johann Sebastian Bach, e accompagnava il suono del pianoforte col suo canto espressivo simile al jazz e la sua voce calda di contralto.

La consapevolezza di Simone sui temi razziali e sociali è stata stimolata dalla sua amicizia con la drammaturga nera Lorraine Hansberry. Simone ha affermato che durante le sue conversazioni con Hansberry “non abbiamo mai parlato di uomini o vestiti. Erano sempre Marx, Lenin e la rivoluzione – vere chiacchiere da ragazze”. L’influenza di Hansberry ha piantato il seme per il provocatorio attivismo sociale che è diventato ricorrente nel repertorio di Simone. Uno dei brani più promettenti di Nina, “To Be Young, Gifted and Black”, diventato subito un inno per gli attivisti, è stato scritto in collaborazione con Weldon Irvine ed è anche un’opera teatrale tratta dall’autobiografia della drammaturga, uscita pochi anni dopo la sua morte, acquisendo il titolo di una delle opere inedite di Hansberry. Gli ambienti sociali frequentati da Simone includevano importanti attivisti neri come James Baldwin, Stokely Carmichael e Langston Hughes: i testi della sua canzone “Backlash Blues” sono stati scritti da Hughes.

L’impegno sociale di Simone non si limitava al movimento per i diritti civili; la canzone “Four Women” tratta degli standard europei dell’aspetto, imposti alle donne di colore in America: nella canzone esplora il dilemma interiore che si sperimenta tra quattro donne di colore con tonalità della pelle che vanno dal più chiaro al decisamente scuro, alla ricerca di un loro stile e di una loro identità. Nella sua autobiografia “I Put a Spell on You” Nina spiega che lo scopo della canzone era quello di ispirare le donne di colore a definire la bellezza e l’identità per se stesse senza l’influenza delle imposizioni della società: da notare che solo recentemente le case produttrici di cosmetici hanno lanciato prodotti adatti in modo specifico alle donne di colore. Per la sua determinazione, per le sue idee femministe e rivoluzionarie, per lo stile nel portare la sua iconica pettinatura afro che valorizzava la corona di capelli crespi invece di lisciarli, come facevano tante sue contemporanee per uniformarsi allo stile in voga presso le bianche, è stata un idolo ed un esempio per la generazione delle ragazze del ’68, nere o bianche che fossero.

Nel nominare Simone la 29a più grande cantante di tutti i tempi, Rolling Stone ha scritto che “la sua voce color miele e leggermente adenoidea è una delle più toccanti del movimento per i diritti civili”, prendendo atto della sua capacità di “nobilitare il blues da bar, cantando il cabaret con voce da crooner ed esplorando il jazz, a volte tutto in un unico disco.”

Avendo vissuto a Nijmegen, Paesi Bassi,  tra il 1988 e il 1990, nel 2002 la città le ha intitolato una strada, come “Nina Simone Street”. Il 29 agosto 2005, la stessa città di Nijmegen, la sala da concerto De Vereeniging, e più di 50 artisti (tra cui Frank Boeijen, Rood Adeo e Fay Claassen) hanno onorato Nina Simone con il concerto tributo Greetings from Nijmegen. In questa città si tiene da qualche anno l’Improvisation Festival, dedicato all’improvvisazione vocale.

Patrizia Rossi

Ear training – intervalli di 4a e 5a

Oggi parliamo brevemente degli intervalli di 4a e di 5a.

Do – Fa 4a giusta

Do – Sol 5a giusta


A differenza degli intervalli di 2a, 3a, 6a e 7a non vengono definiti “maggiori” o “minori”, ma “giusti” … e nel caso venga tolto o aggiunto un semitono si definiscono “diminuiti” oppure “eccedenti”.
Esempio:

Do – Fa# 4a eccedente

Do – Solb 5a diminuita

Sì lo so, dal punto di vista sonoro questi due intervalli rapresentano gli stessi due suoni… vale a dire che se io suono o canto un Do-Fa# e poi un Do-Solb, chi ascolta non sente alcuna differenza, ma la nomenclatura è diversa a seconda che si voglia chiamare l’intervallo Do-Fa (tipicamente di 4a) o Do-Sol (tipicamente di 5a).

Questi intervalli sono particolarmente difficili da riconoscere non tanto quando vengono suonati sequenzialmente, ma piuttosto quando vengono suonati insieme, cioè creando quello che si dice un bicordo.
Il motivo è molto semplice: la 4a del Do è il Fa, ma il Do è la 5a del Fa, così come la 5a del Sol è il Re, ma il Sol è la 4a del Re… Suonando queste coppie di note insieme, a causa della serie degli armonici che costituiscono ciascun suono, diventa particolarmente ostico capire qual è il suono più grave, da cui partire a contare l’ampiezza dell’intervallo. Anche lo strumento usato (timbro) per suonare queste due note, può rendere il riconoscimetno di questi intervalli più semplice o complicato. Provare per credere.


Ricordatevi che pensare e immaginare i suoni è un esercizio formidabile!
Noi siamo in grado di cantare bene solo le note che riusciamo a pensare (senza necessariamente emetterle).

Buono studio

P.S. Mandatemi le vostre eventuali domande a contact@demovoxlab.com

Isn’t she lovely?

Stevie Wonder, nome d’arte di Stevland Hardaway Morris, nato Stevland Hardaway Judkins (Saginaw, 13 maggio 1950), è un cantautore, compositore e produttore discografico statunitense. Figlio d’arte, è il terzo dei cinque figli della autrice e cantante soul Lula Mae Hardaway e di Calvin Judkins. Non vedente dalla nascita a causa di una retinopatia dovuta a difficoltà durante il parto prematuro e peggiorata da un’eccessiva quantità di ossigeno nell’incubatrice, prese il nome di Steveland Morris quando la madre si separò dal marito e, portando con sé i figli, assunse legalmente questo cognome.

Bambino prodigio (si avvicinò a tre anni alla musica e a quattro suonava già il piano), è un polistrumentista (suona basso, tastiere, batteria, percussioni e armonica a bocca). Ha fatto la storia della classifica Billboard come l’artista più giovane che ne abbia mai raggiunto la vetta, posizione conquistata a soli 13 anni, e come il primo artista ad avere avuto una hit contemporaneamente nelle classifiche di musica pop e di R&B. Stevie Wonder ha vinto centinaia di premi tra cui 25 Grammy Awards, e ha venduto 100 milioni di dischi in tutto il mondo.

Ha collaborato e duettato con numerosi artisti. Nel 1982 duettò con Paul McCartney nel famoso brano sull’integrazione razziale Ebony and Ivory (ebano e avorio). Nel 1985, l’armonica che si sente nei momenti strumentali della canzone degli Eurythmics There Must Be an Angel (Playing with My Heart) è suonata da Stevie Wonder. Nel 1987 collaborò con Michael Jackson, duettando con lui nel brano Just Good Friends, quinta traccia dell’album Bad. Lo stesso Jackson ha contraccambiato, duettando con Wonder nel brano Get It, contenuto nel suo album Characters, sempre nello stesso anno. Ha duettato con Whitney Houston nel brano We Didn’t Know. Nel 1995 ha duettato con Frank Sinatra e nel 1998 con Luciano Pavarotti durante uno dei tanti concerti a scopo benefico Pavarotti & Friends.

Grande attivista e leader dei diritti civili, impegnato a favore dei non vedenti, giocò un ruolo fondamentale nel rendere festa nazionale il compleanno di Martin Luther King Jr. Nel 1985 partecipò a USA for Africa, unendosi, tra gli altri, ad artisti come Michael Jackson e Lionel Richie, autori di We Are the World; gli incassi derivati dalla vendita del singolo furono devoluti in beneficenza per la lotta contro la fame nell’Africa Orientale. Nel 2009 è stato nominato “messaggero di pace” dalle Nazioni Unite. Nel 2014 il presidente Barack Obama gli ha conferito la Presidential Medal of Freedom, la più alta onorificenza civile statunitense, e nel 2016 la città di Detroit ha intitolato una via a suo nome.

Icona del Motown sound, dal nome della casa discografica, che a sua volta richiama Detroit (Motor Town), nonché responsabile per aver allontanato il soul dalla sua componente blues, è considerato uno dei musicisti più innovativi e influenti di tutti i tempi e tra i più famosi artisti pop del XX secolo. Fondamentale, in particolare, il suo contributo all’evoluzione del soul e del R&B, grazie alle prolifiche contaminazioni con pop, jazz, funk e reggae. Dotato di raro e precoce talento, rinnovò in modo profondo il linguaggio della black music usando i synth per creare intrecci contrappuntistici e melodici come se si trattasse di archi o fiati. Questi, insieme alla sovraincisione della sua stessa voce al fine di creare multiple voci soliste, sono solo alcune delle innovazioni stilistiche ascrivibili a Stevie Wonder, diventate oggetto di culto e studio. Oltre a essere un musicista dal genio compositivo, Wonder è anche un prodigioso vocalista, voce dell’artista capace di spaziare da tonalità calde e avvolgenti ad acrobazie aspre e pungenti. Inoltre è un ottimo pianista ed eccelle come virtuoso assoluto di armonica a bocca.

Durante gli anni sessanta, periodo in cui già militava per la Motown, la sua musica era frenetica e grintosa ma si è sempre più incentrata verso il formato della ballata, come confermeranno anche le uscite successive. Dal 1971, anno in cui iniziò a godere di maggiore libertà espressiva da parte della casa discografica di riferimento, Stevie Wonder rese il suo stile più esotico e lo arricchì con le tastiere elettroniche. Segno di questa maturazione vi sono dapprima Music of My Mind (1972), che conferma per la prima volta le ambizioni dell’artista e introduce i sintetizzatori, poi le uscite successive quali Talking Book (1972) e Innervisions (1973), lo hanno coronato “re della black music”. Songs in the Key of Life (1976) è citato fra i suoi capolavori.

A questa raccolta appartiene appunto Isn’t She Lovely? dove Wonder celebra la nascita di sua figlia Aisha Morris. La canzone, è considerata un esempio di contaminazione di elementi jazz ed elementi pop e inizia con il primo pianto di un bambino registrato durante un parto vero e proprio. Una registrazione di Wonder che fa il bagno ad Aisha da bambina più grande viene anche inserita nella sezione finale della canzone, mescolata con l’esteso assolo di armonica cromatica di Wonder. Tutti gli strumenti ascoltati nella canzone sono suonati da Wonder, ad eccezione di alcune parti di tastiera suonate da Greg Phillinganes. Durante il processo di registrazione, il bassista Nathan Watts ha stabilito una linea di basso per fungere da traccia guida per Wonder, ma Wonder alla fine l’ha sostituita con la sua performance di basso alla tastiera.

La canzone dura più di sei minuti, per questo non è stata pubblicata come singolo, poiché Wonder non era disposto ad abbreviarla per adattarla al formato da 7 pollici a 45 giri. Anche senza una pubblicazione come singolo, ha avuto tuttavia un così grande successo che ha raggiunto il numero 23 della classifica Adult Contemporary nel gennaio 1977. Da allora, è diventata uno standard jazz e pop, interpretato da molti artisti, tra l’altro esiste una versione a cappella del gruppo The Idea of North per l’album Evidence. Frank Sinatra ne registrò una sua versione nel 1979. Wonder stesso ne ha eseguito una versione particolare dal vivo per la regina Elisabetta II al suo concerto per il giubileo di diamante il 4 giugno 2012, adattandone i testi per riferirsi proprio alla regina.

E’ interessante notare come Wonder, non vedente, abbia imparato a comunicare con il suono: è il pianto tenero e dolcissimo della bambina appena nata, da lui magistralmente inserito nella canzone, che gli fa dire che è lovely, (carina, con in più in inglese la radice love di amare) anche se lui non è in grado di vederla.

Patrizia Rossi

copertina dell’album

Route 66

Route 66

La Route 66 è una delle più famose icone americane: basta vedere uno dei suoi mitici segnali stradali per essere immediatamente trasportati in un viaggio on the road, a bordo di una Cadillac scoperta anni ’50, su un rettilineo senza fine che attraversa uno dei tanti paesaggi desertici dell’ovest americano.

La United States Route 66 fu una delle prime highway federali statunitensi (strada a carattere nazionale), aperta l’11 novembre 1926, e che originariamente collegava Chicago alla spiaggia di Santa Monica, attraversando gli stati di Illinois, Missouri, Kansas, Oklahoma, Texas, Nuovo Messico, Arizona e California, su una distanza complessiva di 3755 chilometri (2333 miglia).

Usata per gli spostamenti  verso ovest, supportò l’economia delle comunità attraverso le quali passava: le popolazioni prosperarono per la crescente popolarità della strada, ed alcune di queste combatterono tenacemente per tenerla in vita, quando,  nel 1985, fu ufficialmente rimossa dal sistema delle highway, e, insieme ad altre, fu rimpiazzata dallo Interstate Highway System.

Oltre che dai mitici viaggi coast to coast a bordo dei Greyhound, i bus a lunga percorrenza visti in tanti film americani, la Route 66 è stata resa famosa da un capolavoro assoluto della letteratura americana, The Grapes of Wrath (Furore), dello scrittore californiano John Steinbeck, premio Nobel per la letteratura nel 1962. Uscito  nel 1940, il romanzo  narra l’esodo verso ovest di migliaia di contadini dell’Oklahoma, a seguito della perdita dei campi e delle proprietà per la Grande Depressione e soprattutto per la carestia causata dal Dust Bowl (siccità e tempeste di sabbia): andavano verso la valle di San Joaquin in California, detta la Valle dell’Eden, in cerca di lavoro e di una vita migliore. Attraverso l’epico viaggio, le peripezie e i drammi della Famiglia Joad, il libro descrive i problemi di sopravvivenza, i pregiudizi e la povertà estrema che dovettero affrontare queste persone, in un modo che li avvicina agli odierni migranti, e quindi rende il libro di drammatica attualità. Steinbeck dedica un capitolo a descrivere il percorso verso ovest, che attraversa Oklahoma City e prosegue lungo la Route 66, alla quale si riferisce come la Mother Road (Strada madre, un soprannome che è usato  ancora oggi) rotta della speranza lungo la quale si incontravano gli stessi derelitti. Anche Bruce Springsteen ha dedicato una canzone a queste vicende, dal titolo The ghost of Tom Joad, il protagonista di Furore.

Ma il primato musicale spetta alla famosa canzone del compositore jazz e pianista Bobby Troup dal titolo (Get Your Kicks On) Route 66, scritta nel 1946 dopo aver percorso di persona la highway per andare in California. Egli mostrò la canzone a Nat King Cole che la fece diventare uno dei più grandi singoli della sua carriera. Il titolo gli fu suggerito dalla prima moglie di Troup, Cynthia, che lo accompagnò durante il viaggio. La canzone più tardi divenne un pezzo del repertorio di Chuck Berry e fu incisa da molti altri artisti, inclusi i Rolling Stones, i Depeche Mode, e recentemente da  John Mayer, che ne ha fatto una nuova versione per la colonna sonora del film di animazione Disney “Cars” che si svolge proprio in un paesino immaginario lungo la Route 66. Attualmente, con il nome di “Historic Route 66”, ne sono rimasti solo alcuni tratti percorribili, con vari cimeli storici, della cui conservazione si occupano apposite associazioni.

Patrizia Rossi